“Un giorno o l’altro prendo coraggio e ti abbraccio. Io ti abbraccio” cantavano i Marlene Kuntz sul finire del vecchio secolo. Hanno accompagnato la mia adolescenza e condividevo con loro l’idea che fosse necessario prendere coraggio per compiere quello slancio necessario ad avvicinarsi all’altro. A distanza di anni, ho riascoltato L’Abbraccio e per giorni ne sono stata “ossessionata”. Sono ancora d’accordo con la me di allora? L’abbraccio è davvero un gesto coraggioso?
21 Gennaio 1986, Clio (Michigan, Usa).
Il reverendo americano Kevin Zaborney decide di organizzare un evento completamente dedicato agli abbracci. L’idea di inserire una celebrazione basata sul contatto fisico, il National Hugging Day, nasce dopo aver notato, all’interno della sua comunità, la presenza di un abbassamento del tono dell’umore nel periodo successivo al Natale.
Il primo evento ottiene un tale successo che, attualmente, il National Hugging Day viene celebrato in un numero sempre più crescente di paesi al di là del confine americano.
Giugno 2004, Sydney (Australia).
Un giovane uomo sta affrontando un momento critico nella sua vita. La relazione con la sua fidanzata è appena terminata ed i suoi genitori stanno divorziando. Il giovane, all’interno di un centro commerciale, inizia a “distribuire” abbracci gratuiti e, nei giorni successivi, con un cartello al collo recante la scritta “Free Hugs”, regala abbracci ai passanti.
L’uomo viene notato da Shimon Moore, ex frontman della band Sick Puppies, che decide di filmare gli abbracci con l’idea di realizzare un videoclip. Il video, caricato su Youtube nel Settembre 2006, diviene virale e ad oggi, l’iniziativa Free Hugs viene organizzata in ogni periodo dell’anno e in ogni parte del mondo.
4 Ottobre 2021, Istituto Karolinska (Stoccolma, Svezia)
Il premio Nobel per la fisiologia e la medicina viene assegnato a David Julius e Ardem Patapoutian per le loro scoperte sui recettori per la temperatura ed il tatto. L’immagine dell’abbraccio, scelta dal comitato del Nobel, è esemplificativa. Senza tali recettori non riusciremmo a sentire gli altri, il “mondo”, né avremmo coscienza dei nostri movimenti o di noi stessi.
Il filo rosso è sempre quel contatto pelle a pelle, che trova nell’abbraccio la sua forma di espressione massima.
Ma, di nuovo, abbracciare richiede coraggio?
Per me sì! Seguiamo l’etimologia del termine coraggio, dal latino cor habeo, ossia avere cuore, inteso come agire con il cuore, agire ascoltando il proprio mondo emotivo.
Le persone coinvolte nelle diverse situazioni sopracitate, hanno mostrato di possedere una buona dose di coraggio nel compiere quel tocco e nel voler comprendere quel contatto.
Mi sono interrogata allora sulla complessità di un gesto così “semplice” e sulle ripercussioni che può avere per l’uomo, nel suo rapportarsi con gli altri. Ho riflettuto sugli abbracci dati e ricevuti, soprattutto ho provato a “ri-sentire” le sensazioni percepite nel momento in cui il contatto avveniva. Alcuni abbracci mi hanno riportato alla gioia di quel momento, ad una sensazione di completezza. Altri alla paura provata poco prima di compiere quel gesto, qui parlare di coraggio per superare la paura di accorciare le distanze ed avvicinarsi all’altro. altri abbracci ancora mi hanno riportato alla sorpresa per avere ricevuto un abbraccio inaspettato ma, inconsapevolmente, desiderato.
Dal punto di vista etimologico, abbraccio, dal latino “brachium”, rimanda immediatamente alla parte del corpo che si fa attrice, che principalmente agisce: il braccio. Quest’ultimo, nell’ambiente, circoscrive lo spazio all’interno del quale avviene la relazione. La lunghezza del nostro braccio delimita la prima delle 4 zone di distanza interpersonale, quella intima, compresa tra 0 e 45 cm, dove hanno luogo i legami più “stretti”.
Entro questo spazio, ci si può abbracciare con tutto il corpo, si possono percepire temperature differenti ed esercitare pressioni diverse; una pressione intensa può comunicare un forte desiderio di vicinanza, di condivisione.
Altri abbracci possono venir dati con una sorta di timore, esercitando una pressione delicata: si potrebbe cogliere il desiderio di confortare l’altro, accompagnato alla preoccupazione di risultare troppo invadente. All’interno di questa “cornice”, data dall’abbraccio, siamo quindi in grado di esprimere, comunicare e cogliere le nostre ed altrui emozioni.
In che modo siamo quindi in grado di esprimere, comunicare e cogliere le nostre ed altrui emozioni?
La risposta è tutt’altro che scontata o banale: grazie alla pelle! Quella parte del nostro corpo che, attraverso il tocco, ci permette di percepire il mondo, l’organo di senso meno considerato, non limitato alla nostra testa, più sottile ma al tempo stesso più vasto, in termini di dimensioni e funzionalità.
Sulla pelle sono presenti diversi tipi di recettori che, attivandosi in risposta ad una determinata stimolazione, un certo contatto, ci permettono di cogliere differenti tipi di informazione.
Numerosi studi hanno dimostrato che, gli stimoli tattili che non hanno una valenza affettiva, come l’essere afferrati per un braccio, viaggiano lungo le fibre mieliniche e vengono trasmessi alla corteccia somatosensoriale. Invece, quando abbiamo a che fare con il contatto fisico che ha una valenza affettiva, come nel caso degli abbracci, le informazioni, captate dai recettori presenti sulla nostra pelle, viaggiano lungo le fibre amieliniche note come fibre-c, giungendo ad una specifica area cerebrale chiamata insula. Quest’ultima, lavorando in modo coordinato con altre aree del cervello, come amigdala ed ippocampo, svolge un ruolo chiave nella nostra vita emotiva e sociale.
“Tutto” qui?
Assolutamente no!
Gli abbracci hanno un potente effetto benefico. Il contatto, che avviene tramite l’abbraccio, stimola nel cervello il rilascio di alcune sostanze che giocano un ruolo fondamentale sulla nostra salute e sul nostro benessere.
Tra queste, non si può non citare l’ossitocina al tempo stesso ormone e neurotrasmettitore; prodotta dall’ipotalamo e rilasciata dall’ipofisi. Una volta secreta viene immessa nel circolo sanguigno ricoprendo una funzione chiave durante il travaglio, il parto e l’allattamento.
Di particolare interesse è che, durante il tocco lento, affettivo, tipico dell’abbraccio, si assiste ad un aumento del rilascio di ossitocina che, agendo su varie regioni del cervello, in particolare sul sistema limbico, sembra in grado di ridurre i livelli di cortisolo nel sangue e quindi lo stress e l’ansia sociale (grazie alle interazioni con dopamina e serotonina).
Inoltre, maggiori concentrazioni di ossitocina, derivanti dall’abbracciarsi, correlano con un maggior riconoscimento delle emozioni e con un effetto positivo sulle relazioni interpersonali (favorendo in particolare un “attaccamento sicuro”).
Durante l’abbraccio, inoltre, l’aumento di ossitocina ha effetti su altri mediatori chimici come la dopamina, coinvolta nel “sistema della ricompensa”, la serotonina, che riveste un ruolo chiave nella regolazione del tono dell’umore, e le endorfine che hanno un potere analgesico.
Infine, l’aumento di ossitocina, agendo sulla riduzione dello stress, ha effetti sul sistema cardiovascolare, riducendo il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e sul sistema immunitario, riducendo il rischio di sviluppare malattie infettive.
I benefici sono davvero sorprendenti e la psicologa statunitense Virginia Satir sosteneva che: “ci servono quattro abbracci al giorno per sopravvivere, otto abbracci al giorno per mantenerci in salute e dodici abbracci al giorno per crescere”. A volte ne basta anche uno solo per sentirsi completi. Vi è
mai capitato di essere in un abbraccio in cui l’altro vi stringe così forte, che sembra voglia spezzarvi in tanti piccoli pezzi, mentre in realtà quei piccoli “pezzettini” vengono ricomposti e vi sentite interi, completi?
“Prendiamo coraggio e abbracciamoci”, con calma, per tutto il tempo necessario a soffermarci sulle sensazioni che quel tocco suscita in noi.
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